Solitamente soli…

Solitamente soli…

Da Wikipedia:
Solitudine: condizione umana nella quale l’individuo si isola o viene isolato dagli altri esseri umani generando un rapporto privilegiato con se stesso. Animale sociale per definizione, l’uomo anche in condizione di solitudine è coinvolto sempre in un intimo dialogo con gli altri. Quindi, più che alla socialità la solitudine si oppone alla socievolezza. Talvolta è il prodotto della timidezza, talaltra di una scelta consapevole.

E’ sempre solo questo? Così esteso come concetto, ma così riduttivo per quanto ne concerne l’ambito? Sembra quasi che la Solitudine sia una scelta di vita. Ci sono tanti casi in cui tale condizione rispecchia una reale scelta, oppure un risultato di scelte altrui. Alla fine, esistono davvero persone che si trovano in condizioni di solitudine cronica.
Occorre però capire se stiamo cercando di capire qualcosa sul concetto dello “star soli” o, viceversa, sul ben più ricco di implicazioni “sentirsi soli”.
Un po’ come affrontare, in inglese, la differenza tra “alone” e “lonely”.
Di fatto, la spiegazione wikipediana punta il dito su un miscuglio delle due, cosa che probabilmente ha colpito la mia fantasia e ha generato questa storia (sarete molto contenti del mio girovagare su internet, nevvero?).
La maggior parte delle casistiche che riguardano il concetto di sentirsi soli (che è diverso da quello dello “stare soli”), a mio personale avviso si riferisce più a persone che, in qualche momento della loro vita, hanno avvertito un senso di smarrimento dovuto all’impressione di non avere nessuno con cui condividere un momento, un pensiero, una difficoltà. Sono questi gli stati di solitudine che tutti noi, probabilmente, conosciamo per esserci passati in una o più occasioni.
Cosa rende diversa la sensazione di solitudine descritta da quella presente su wikipedia?
Una cosa molto semplice, che permette di traghettare poi il discorso verso altri lidi. La spiegazione riportata all’inizio di questa storia fa riferimento ad una scelta (altrui o propria) per la quale un individuo instaura un rapporto privilegiato verso se stesso, allontanando gli altri. In pratica si descrive un processo, non uno stato. Ci sono alcune condizioni (la timidezza è una delle citate in causa, ma non è di certo l’unica) che portano alcuni individui ad allontanarsi dagli altri. Definirei questo stato come uno “stare da soli”.
Se poi tale stato provochi o meno delle implicazioni emotive, magari negative, in quanto sentito come qualcosa di penalizzante e limitante e patito quindi in prima persona, questo dipende da come, appunto, si è generato tale stato e quale sia la condizione dell’individuo che si trova a viverlo.
Le implicazioni, le conseguenze di questo “eremitaggio” sono, per come la vedo io, quelle che generano la sensazione di solitudine.
Lo stare soli, quindi, è condizione necessaria ma NON sufficiente a patire la solitudine.
Nemmeno quest’ultima affermazione, in realtà, è assolutamente corretta. Trattandosi di discorsi attinenti alla sfera delle emozioni, ogni cosa che si dice ha una valenza assolutamente plurima e variabile da caso a caso.
In questo contesto, e parlo per esperienza diretta, lo stato di solitudine non ha nessuna condizione necessaria, se non una: un contesto mentale in sofferenza. E’ quando non si vivono i momenti di vita con serenità e pienezza che si rischia di avvertire la solitudine, persino se ci si trova in compagnia.
E’ quando si accusa uno stato psichico di insoddisfazione (per qualcosa, o per tutto…) che non si riesce nemmeno ad instaurare facilmente un dialogo con gli altri. Sono questi i momenti in cui, invece, sarebbe indispensabile riuscire a farlo.
Ma la mente umana fa di questi strani scherzi.
Rileggiamo la definizione alla luce di queste sconsiderate considerazioni:

Solitudine: condizione umana nella quale l’individuo si isola o viene isolato dagli altri esseri umani generando un rapporto privilegiato con se stesso. Animale sociale per definizione, l’uomo anche in condizione di solitudine è coinvolto sempre in un intimo dialogo con gli altri. Quindi, più che alla socialità la solitudine si oppone alla socievolezza. Talvolta è il prodotto della timidezza, talaltra di una scelta consapevole.

Tralasciando il fatto che in questa definizione si descrive un processo e non le sue conseguenze, potremmo comunque arrivare a dire che, nelle condizioni sopra citate (che sono magari solo una piccola parte di quelle che favoriscono e generano lo stato di solitudine), quel processo descritto sopra viene innescato e provoca il malessere che tutti noi, almeno un po’, conosciamo.
E’ quando ti senti distante da te stesso che allontani anche gli altri. In questo stato, l’essere soli, a volte, fa anche sentire molto soli. E’ vero altresì che, in quei momenti, anche un milione di persone non garantisce l’assenza della solitudine.

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