La Piuma della Magia

INTRODUZIONE

Vorrete scusarmi se mi permetto di dire alcune cose prima della lettura di quest’opera.
Ciò che leggerete, se avrete la pazienza di farlo e non vi stancherete delle mie farneticazioni dopo appena due pagine, è esattamente, completamente, assolutamente inutile. Ma allora, dirà qualcuno di voi, cosa mai ti è saltato in mente di scrivere queste pagine, se poi non servono a nulla? Con calma, dirò io allora, e chiederò a quel qualcuno: chi ti ha consigliato di leggerle, queste pagine?
E lui mi risponderà: sei stato tu ad assillarmi finché non l’avessi fatto!
A quel punto dovrò nascondermi dalla vergogna!
Comunque sia, queste sono solo delle prove, dei tentativi di sperimentare come dire e raccontare alcuni fatti e pensieri. È l’insieme della mia produzione di circa due anni, produzione scombinata, volta alla ricerca di un mio stile per esprimere le mie idee. Sono mie farneticazioni, miei pensieri, spesso assurdi, spesso scritti male, spesso raccontati tra stenti e passaggi forzati.
Non sono (purtroppo) uno scrittore, né mai lo sarò, anche se mi piacerebbe molto: non ne ho la stoffa.
Ma questo è il mio hobby, e nessuno, tranne me stesso, potrà privarmene. Se non altro, servirà a farmi conoscere meglio e maggiormente apprezzare questa nostra ricca lingua, piena di sorprese e di tranelli, nella quale si sono perse tante storie, che in molti cercano di ritrovare e di gettare sulla carta, sempre con esiti inferiori a quelli che si pensavano di ottenere. La storia non andrebbe raccontata, ma solo immaginata e vissuta interiormente: tutti coloro che si apprestano a scrivere devono sapere che si apprestano a distruggere la storia che hanno intenzione di far vivere attraverso le loro parole. Per questo non penso di fare un grave danno strapazzando come è mio solito questa splendida lingua: tanti l’hanno fatto, e tanti altri lo faranno. Io mi perdo tra essi, e nessuno saprà mai nulla di questo mio vezzo, né di tante storie da me sprecate! Tranne voi, che state prendendo in mano queste sciocchezze (e non imputate queste parole a falsa modestia: è esattamente quello che penso!).
Se volete, ora potere afferrare la copertina, sbatterla sulla prima pagina, prendere con entrambe le mani il libercolo e tirarmelo appresso!
A me, questo, non interessa: non ho scritto per voi… l’ho fatto per me!

Un’introduzione folle per una folle raccolta, che spazia dall’orrore più gratuito all’irreale più semplice.
Adoro in maniera particolare l’alfabeto, e finora ho cercato di approfittarne in modo da utilizzarlo per ogni scopo, a livello personale.
Ho fatto diventare il mio hobby principale la narrazione di brevi storie, avvenimenti, episodi che ispirano la mia immaginazione.
Ovviamente, per raccontare qualcosa, è necessario fornire alla storia un personaggio, qualcuno che costituisca il bersaglio o il soggetto di ogni azione o evento.
I personaggi da me prediletti sono esseri deboli, di solito a livello psicologico, oppure vittime innocenti di folli. Occorre una precisazione. Per quella parola, “psicologico”: essa non è frutto di un mio giudizio.
Sono assolutamente contro ogni tipo di esame mentale a chiunque viva su questa Terra, contro la sciagurata genia dei cosiddetti “dottori della psiche”, contro ogni tentativo di giudicare la “normalità” del prossimo. Non pretendo né mai avrò pretesa o desiderio, né intendo né tantomeno voglio giudicare i miei personaggi, preferendo porli per quello che sono nella mia idea, e lasciare a voi la scelta del giudizio. Ora, suppongo che ognuno di voi che legge, giudicherà molti di essi pazzi, turbati ed afflitti da grossi problemi, oppure esseri senza scrupoli. Io non ho mai detto questo, mentre ora li classifico tali ben sapendo quale sia il vostro giudizio su di loro. Sono pazzi per voi, e solo per voi io li definisco tali. Finora, molti dei protagonisti delle mie brevi storie si sono tolti la vita, in vario modo. Ad altri io (attraverso un altro personaggio), ho amputato varie parti del corpo: una mano, una gamba, un piede, la testa…
Vi chiederete perché. Oppure non ve lo chiederete affatto. Ma io lo dico lo stesso.
Perché qualcuno deve morire? Perché altrimenti continuerebbe a vivere.
Se questo vi sembra ovvio, aspettate un istante.
La vita, per qualcuno che esista, è qualcosa che può o meno piacere, ma non crea troppi problemi solo per il fatto di esserci. I guai, infatti, derivano dal nostro comportamento.
Ma per qualcuno che si veda vivo solo nella fantasia di un altro, anche di uno scriteriato come me, continuare ad esistere, a condurre una vita telecomandata dal suo creatore, certamente è un problema.
Chi scrive, infatti, tende a rimanere nel genere prescelto e, pur con qualche opportuna modifica, la linea seguita è piuttosto lineare, tranne poche eccezioni di perfetta adattabilità a più generi.
Nella storia successiva, i personaggi, pur mutando, preservano una certa coscienza, come fossero stati loro a vivere le avventure precedenti.
Essi imparano dalle esperienze passate, anche se queste sono state vissute da altri.
Nell’arco della sua vita produttiva, uno scrittore che meriti tale appellativo, che, cioè, abbia fatto dell’alfabeto il centro di tutta la sua esistenza, crea soltanto un personaggio, che porta avanti per tutta la sua vita e la sua opera.
Tale personaggio assume svariate connotazioni, può addirittura divenire l’opposto di ciò che era precedentemente, ma resta pur sempre nella sua figura qualcosa che continua ad essere uguale a se stessa.
Perché, in fondo, ogni personaggio è soltanto l’autore stesso, infiltrato tra le pagine e tra le righe, rivestito di una diversa esteriorità, ma fondamentalmente identico a se stesso ed allo scrittore.
È lui che impara dalle esperienze, ed incarna le sue conoscenze nel protagonista o in altri personaggi, tutti riassumibili nella sua figura, divisa ed osservata da mille angolazioni, che però si ricompongono all’interno della storia.
Ogni personaggio, infatti, rappresenta un aspetto dell’autore, e tutti insieme lo ricreano perfettamente.
È per questo che i personaggi dovrebbero morire.
In questo modo soltanto, infatti, si è sicuri, non di cambiare i loro caratteri nella storia successiva, cosa non possibile fino in fondo, ma di limitare la loro coscienza ed i ricordi che porteranno con sé in futuro.
Inoltre, ogni storia presuppone un termine. Questo termine esiste solo perché sarebbe impossibile continuare a narrare in eterno. Ma il personaggio creato continua a vivere, a meno che non venga ucciso.
Continua a vivere e, se l’autore ha voluto conferirgli spessore maggiore, esso continua a soffrire, finché nuovamente non si aprirà un’altra pagina, ed egli potrà incarnarsi in un’altra forma.
Per questo, il più delle volte, sarebbe cattiveria pura lasciare vivo qualcuno profondamente turbato da qualcosa ed in grave stato di sofferenza.
Ma una cosa è realmente importante, fondamentale, secondo me, ai fini di un racconto: un relativo distacco dal dolore provato dal protagonista.
Ma ciò non indica una semplice separazione tra i sentimenti dell’autore e quelli del personaggio. Egli soffre, nella storia, ma è in certo modo cosciente della sua sofferenza, conosce il dolore e quasi, per questo motivo, ne soffre di meno. È un male pressoché surreale, ed il soggetto vittima del sopruso è pienamente consapevole del grado della sua sofferenza. Come ogni cosa moltiplica la sua intensità e la sua immediatezza se è provocata da uno stimolo semplice e spontaneo, mentre invece è resa sterile e povera da una certa coscienza applicata al suo verificarsi, così il dolore, i problemi, i desideri, le passioni dei personaggi devono essere in ogni caso camuffati sotto uno strato di consapevolezza, evitando così di confondere la finzione con la realtà. I personaggi siamo noi stessi infiltrati tra le righe. Su di essi è possibile sfogare ogni istinto masochistico e sadico presente in modo latente in ognuno di noi. Ma lo sfogo deve restare tale, per poter continuare a vivere sulle spalle delle sofferenze dei nostri protagonisti.
Due parole anche per quanto riguarda la pratica dell’amputazione ed, in genere, di ogni violenza sull’essere cartaceo appena creato. Ovviamente, quello che dirò è il mio pensiero portato alle estreme conseguenze; ma in fondo non è così assurdo, dato che viviamo in un’epoca capace di confondere il reale col virtuale, non è assurdo che un personaggio ed il suo mondo vengano considerati quali persone realmente esistenti, tanto più che io non mi sento più sicuro, tanto da poter distinguere l’esistenza dalla finzione. Dunque, è veramente fonte di estremo sollievo il privare di qualche parte del corpo un personaggio! Che sia una mano, un piede, un braccio, una gamba, qualche dito, la testa o altro, non ha alcuna importanza.
Ciò che conta è l’immensa gradevolezza che si prova nel farlo. Ed è anche qualcosa di umano, di estremamente utile ai fini della vita!
Infatti, se il dolore è costante nel mondo, ho detto se, e non varia per quantità, assumendo, all’interno dello stesso mondo, un piccolo spazio di una realtà altra nella quale qualcuno soffre, nel campo della fantascienza ciò significa che si toglie una piccola quantità di sofferenza al mondo!!
Se, nella realtà, far soffrire gli altri spesso ci provoca un sottile godimento, e sempre il vederli soffrire ci colma di un sentimento indicibile, a volte di piacere, a volte di partecipazione, nella finzione, dove noi siamo i creatori del mondo, il far soffrire un personaggio ci provoca soddisfazione, contentezza, e scarica il nostro velato sadismo, presente in ognuno e bisognoso di una via di sfogo.
Per questo, in un racconto, ogni forma di tortura deve essere presente, costante. Essa è utile.
E, spesso, è tramite essa che si può arrivare alla morte del personaggio, altrettanto indispensabile a volte, ed altrettanto utile…
Ma, tornando a noi, a cosa serve una premessa?
Evidentemente, a premettere qualcosa, ovvero a dire qualcosa riguardo al testo prima che venga iniziata la lettura.Insomma, serve a salvarvi, se non avete intenzione di seguire le fantasie di un pazzo.
Ed ecco che io vi salvo. Eccomi puntuale a censurare questi miei brevi racconti, ed a consigliare di godervi questa bella giornata, invece di angosciarvi con sangue e morte, argomento a volte fulcro di alcuni racconti!
Dovreste ringraziarmi, ed invece cosa fate? Borbottate parolacce indirizzate a me, che continuo a rompervi e con i miei scritti, e con quello che di essi dico.
Ma io vi ho avvisato…
Ora, come è mio solito consigliare, buttate via questo libretto, ed andatevene a spasso!
E non azzardatevi a domandare perché io abbia scritto tante inutili pagine!
Sicuramente non l’ho fatto per farle leggere a voi, né tantomeno per parlare male di esse. Né ancora per sentirmi criticare! Se volete veramente leggere i miei racconti, adattatevi ad essi!
Buona lettura!

Simone Maccagno

I racconti inclusi nel libro:

  • ISTANTE DI VITA
  • PROCESSO MENTALE
  • IL GIARDINO DEGLI INCONSAPEVOLI RICORDI
  • LA STRADA PIU’ BREVE
  • IMPERMEABILE E SOGNO
  • MORÌ IN QUEL GIORNO DI SOLE QUELL’UOMO DAL VOLTO DI GHIACCIO
  • L’ULTIMO PERCHÉ
  • SPESSO LE FRONDE NASCONDONO…
  • IN COMPAGNIA DELLA MORTE
  • LA MORTE BAMBINO
  • UN MOMENTO DI SVAGO
  • L’INCISIONE
  • IL PENDIO SILENTE
  • UN UOMO, UN FLAGELLO
  • LUCENTE ARMONIA DI SENSI
  • IL RIENTRO
  • UN DETECTIVE PER DUE SORPRESE
  • L’UOMO CHE NON C’ERA
  • LA CURVA DEL TEMPO
  • IL BLU INTENSO, IL NERO ETERNO
  • L’ELEMENTO MANCANTE
  • GRANELLO D’INFINITO
  • L’OCCASIONALE FOLLIA
  • FANTASIA SILVESTRE
  • 552 ORE DOPO
  • ULTIMO GESTO DI PURA FOLLIA
  • VERSO L’ALBA
  • LA LUCE PIÙ BUIA
  • LA NOTTE SENZA RICORDO
  • GLI ETEREI CONFINI DELL’OMBRA
  • L’ULTIMO SOLE
  • LUCE STELLARE
  • LA PIUMA DELLA MAGIA
  • IL GIORNO DELL’UOMO CANGIANTE
  • EXTREMUS VERBUS
  • PENSIERO