GRANELLO D’INFINITO – Aprile 1997
Non ho idea di cosa stia facendo.
Vi parrà strano, è ovvio. Vi sembrerà assurdo che io non sappia quale sia la mia momentanea occupazione, ma è proprio così.
Senza dubbio, non lo so.
È una sensazione sgradevole, è un senso di smarrimento, di possibile inutilità, di inesistenza.
È qualcosa che già da qualche tempo mi ha catturato, e che non vuole saperne di abbandonarmi.
Le mie mani, le vedo, si spostano attraverso il tavolo, e raccolgono i pezzi necessari al lavoro che stanno compiendo. È un movimento quasi meccanico, quello che le anima, ed è incredibile vedere come la loro esperienza crei dal nulla qualcosa di esistente, di visibile.
Di reale.
Eccola, la parola in questione. Reale. Cosa vuol dire?
È possibile definirla?
Ha un significato per noi, al di là di quello che ormai ha preso ad indicare?
Non si sa. Ed è per questo che non ho idea di cosa stia facendo, pur riuscendo a vedere perfettamente il lavoro che le mie mani compiono.
Reale. Vero. Autentico. Cosa vuol dire?
Viviamo in qualcosa che conosciamo?
Esistiamo veramente? E se la risposta è affermativa, dove siamo? Ed, ovviamente, tutte le domande che da secoli, da millenni, l’uomo si pone, ed alle quali non può e non potrà mai dare una risposta che non sia un’ipotesi, quanto mai arbitraria.
Chi, tra tutti gli abitanti della Terra, potrà mai dirsi sicuro riguardo alla propria “reale” esistenza, e riguardo all’esistenza dell’ambiente che lo circonda?
Sicuramente, ciò è quello che pensiamo tutti, ma non sono persuaso del fatto che qualcuno possa esserne convinto e possa testimoniare la sua certezza e comunicarla ad altri.
Esistono altre infinite realtà, o non ne esiste nessuna, parallele alla nostra nello spazio e nel tempo: chi ci dice che ora, veramente, stiamo facendo quello che pensiamo di fare? Chi può verificare con sicurezza il fatto che io, adesso, stia ragionando su questi problemi mentre le mie mani si muovono e costruiscono quell’oggetto?
Potrei essere una parte di un atomo che forma un granello di sabbia di un universo che neppure immagino, oppure avere nelle mie cellule interi mondi ed am-massi di stelle!
Potrei essere infinito, ed allo stesso tempo un nulla.
Potrei contare fino ad un milione, e non aver trascorso nemmeno un secondo nel lento orologio dell’eterno, oppure consumare all’istante intere generazioni nel mondo del nulla.
Chi può dirmi cosa realmente io sia? Chi può darmi certezze per poter continuare in questa esistenza così incerta?
Ognuno tende ad esasperare la sua persona, a porla al centro di tutto, ad universalizzare i propri problemi, le proprie difficoltà. E questo spiega benissimo la teoria geocentrica che per migliaia di anni ha resistito senza subire attacchi. Ora essa è crollata, ed abbiamo scoperto di essere solo un punticino di un piccolo Sistema, il quale a sua volta si perde nella notte universale, nell’immensa distesa di spazio che ci circonda, e che è interrotta solo da piccoli frammenti di materia.
Chi ci dice che anche questa teoria, tra non molto tempo, non subirà una colossale smentita, e non se ne scoprirà un’altra, che getti il nostro pianeta, prima centro di ogni cosa, all’interno, magari, di un atomo, e così via in eterno?
Abituati alla nostra dimensione, alla nostra vita, al lesto trascorrere del tempo, per cui cinquanta anni sono quasi una vita, non ci rendiamo conto dell’assurdità della nostra immensa piccolezza.
Ma, lo stesso, basta un pensiero, una rapida occhiata fuori dal cielo, a ridimensionarci rapidamente, cosicché la nostra esistenza si riduce ad un attimo, i nostri problemi a nulla, le nostre città a granelli di sabbia, precarie sull’orlo della scomparsa, e le nostre azioni ad un semplice concatenarsi di gesti meccanici dovuti ad una infinita catena di cause, che generano effetti, che sono ancora cause di altri effetti.
Basta un lieve movimento, inesistente nell’ambito dell’universo, a cancellare centinaia di esistenze, basta la fuoriuscita di materia “un po’” calda a creare danni infiniti.
Ma cosa sto facendo? È realmente utile? E che cosa è realmente utile? E utile a cosa?
Non lo so. Ma devo farlo. Ne ho bisogno.
Devo pensarmi eterno. Ed i miei problemi devono risultare immensi.
Altrimenti, a cosa servirebbe la mia vita? Devo farlo.
E continuerò, continuerò a far parte dell’infinita catena. È solo così che potrò riuscire a vivere, a continuare ad esistere ed operare, senza un vero senso (e chi sa cos’è vero?), ma continuando a farlo per continuare ad esserci.
A vivere… e ad essere felice.
Per quanto mai essere umano potrà esserlo…