L’OCCASIONALE FOLLIA – Gennaio 1997
Quel senso di potere.
Di essere sopra ogni legge, ingiudicabile, di poter provare ogni emozione in perfetta sicurezza: l’avrebbe fatto, e tutto sarebbe finito, ma prima si sarebbe goduta quel senso di potere. Sì, senza dubbio.
Era davanti a lei, seduto su quella sedia di vimini, era senza protezione, e lei aveva il potere.
Non aveva idea di come fosse accaduto tutto ciò, non aveva ricordi molto chiari delle ultime ventiquattro ore. Ma ora era lì, e non si sarebbe lasciata sfuggire quella ghiotta occasione.
Aveva ventiquattro anni, ed era una bella ragazza. Almeno così pensava l’uomo che ora sedeva in balia di lei: doveva per forza ritenerla bella, o perlomeno molto eccitante, visto quello che le faceva da quattro anni!
Ora i ruoli si erano invertiti, e sarebbe stata lei a condurre il gioco. L’ultimo gioco.
Aveva il potere.
Era entrata in casa e l’aveva trovato lì, su quella sedia, che dormiva. Era notte: probabilmente, se non fosse stato addormentato, lei non avrebbe rivisto la luce del Sole.
Ma lo era, e chi non si sarebbe alzato l’indomani sarebbe stato lui. Di questo non dubitava.
Non aveva idea di chi potesse averlo informato, ma, evidentemente, qualcuno doveva averlo fatto: anche questo era un dato certo.
Non si era accorto di nulla, mentre lo legava saldamente alla sedia, a quella sedia ove sarebbe morto.
Quella notte sarebbe stata molto lunga, praticamente eterna, almeno per uno di loro. Non sapeva con certezza chi realmente avrebbe rivisto il Sole, ma sicuramente non sarebbe più vissuta con quell’uomo. Mai più.
Il potere la eccitava, quell’uomo le provocava odio e disprezzo. Unite, queste sensazioni non facevano che stimolarla all’azione.
Cominciò l’opera distruttiva, che sarebbe terminata con l’avvento del giorno, e con la fine della misera vita di quell’ignobile verme.
Si accorse che la stava guardando; impaurito, sì, ma vide nei suoi occhi qualcosa di profondamente diverso: voleva giocare.
Ed allora decise: avrebbero giocato, si sarebbe divertita un po’. Poi avrebbe terminato il suo lavoro,.
Abbassò la luce.
Ed iniziò. Fu la sua opera, fu il suo momento.
Ed il suo corpo risplendette nel buio.
**********
Per venti anni era vissuta in seno alla sua famiglia, ai genitori, all’anziana nonna, rimasta sola cinque anni prima.
Per tanto tempo era stata felice, e non le era mai mancato nulla.
Poi venne Karl, improvvisamente. Si può dire che anche dopo quel 15 novembre non aveva patito la mancanza di nulla.
Sì, di nulla. Tranne forse… la tranquillità.
Karl era gentile, amabile, giocherellone, affettuoso.
In particolare adorava giocare. Fin qui, nulla di strano.
Peccato che l’oggetto dei suoi giochi fosse lei…
Subito dopo averlo incontrato, era andata a vivere con lui, e da allora non era passata una settimana senza che Karl non si divertisse con il suo corpo.
Per quattro anni aveva sopportato quelle torture, per quattro anni aveva saltato quasi ogni lunedì di lavoro, restandosene nel letto, coperta di cerotti, lividi, graffi, e con un dolore lancinante tra le gambe.
Karl, quei giorni, dormiva al piano di sotto, dopo che si era divertito, ed al mattino presto usciva.
Quattro anni.
Ora aveva deciso. Non se ne parlava di denunciarlo: l’avrebbe trovata ovunque, ed allora non si sarebbe più dovuta preoccupare di nulla. No, era decisamente una soluzione poco adatta.
L’avrebbe lasciato. Semplicemente, se ne sarebbe andata.
I giochi dovevano finire.
Ma quella notte, l’ultima prima della sua partenza, l’aveva trovato lì, inerme.
Aveva saputo delle sue intenzioni. Da chi, non aveva idea: non aveva confidato a nessuno i suoi propositi. Ma l’aveva saputo.
Era giovedì: ancora tre giorni a domenica, il giorno dei giochi.
L’indomani mattina, sul presto, non avrebbe più abitato quella casa.
Ma l’aveva trovato lì, addormentato. Questo cambiava tutto.
La rabbia che aveva in corpo non si poteva definire a parole.
In preda all’eccitazione, l’aveva legato, e lui non se ne era neppure accorto. Ora si apprestava a svegliarlo. Ma lui era già sveglio. E la guardava.
E lei stava per iniziare a giocare. Come sempre. Lo stesso gioco. Ma, stavolta, la conduttrice era lei.
**********
L’ultima volta. Ma sarebbe bastata, almeno a recuperare e vendicare tutte le altre violenze.
Sarebbe stata sufficiente a riprendersi quello che aveva dovuto cedere a quel bastardo.
Quella notte sarebbe stata l’ultima, prima che il nero calasse su quell’uomo. Era nuda, ora, e stava di fronte a lui.
Era legato, stavolta: non avrebbe potuto nulla contro di lei. Avvertiva la sua eccitazione che saliva nel corpo, avvertiva la sua paura. Ed iniziò a giocare. Il tempo passò leggero, e non si accorse neppure della luce del sole, che ora faceva capolino attraverso le finestre oscurate.
Il corpo era inerte davanti a lei, e la sua bocca spalancata parlava di morte.
I giochi erano durati molto, molto egli aveva resistito . la sua sensualità lo eccitava, come sempre, così come aveva previsto la sera prima, quando aveva iniziato la rivolta.
L’eccitazione era salita nel suo corpo. E lo aveva ucciso.
Era finita.
La storia, ormai, era conclusa.
Slegò il corpo ormai privo di vita, e lo trascinò nella vasca da bagno. Non c’era sangue, tranne lì dove lei aveva operato.
Lo sommerse con acqua calda, ed accese la radio che egli aveva fatto installare lì, nella sala da bagno.
Un DeeJay iniziò a raccontare aneddoti poco divertenti ma di notevole intrattenimento, mentre lei, ancora nuda, apriva la finestra, anche per evitare il ristagno dell’odore emanato dal corpo.
Un uomo era sul balcone della casa di fronte, ed aguzzò la vista non appena lei ebbe spalancato la finestra.
Che guardasse pure!
Non si preoccupò più di tanto, ed anzi, per terminare quella giornata di festa, girò un poco per la piccola stanza, mettendo bene in mostra le sue fattezze proporzionate e molto attraenti.
Poi uscì e, dopo essersi rivestita, lasciò per sempre quella maledetta casa, e con essa l’uomo che le aveva rubato tanto della sua vita.
Uscì sulla strada, in mezzo a tante anime.
Una tra tante. Sola, adesso.
Avrebbe ricominciato.