Il pane e i denti…

Il pane e i denti…

Ci sono momenti in cui tutto sembra crollare.
Attimi terribili di sconforto… ed in genere sono quelli che più riescono ad abbattere ogni barriera che ci siamo faticosamente costruiti ed a farci piombare in una specie di scosceso dirupo, senza appigli, con la sola prospettiva di atterrare su dura pietra e completare l’opera di devastazione.
Posso ritenermi una persona decisamente fortunata. Non so quale entità superiore si sia occupata del mio caso, a partire dal momento in cui i miei occhi si sono schiusi alla luce di questo piccolo atomo che consideriamo la nostra casa, il nostro universo (ben consapevoli che c’è davvero molto di più attorno a noi, ma in genere ben lieti di dimenticare questo dettaglio, effettuando una sorta di sineddoche spaziale). Non so se ci sia effettivamente un’entità che abbia consapevolmente stabilito quali fossero le doti da assegnarmi, o se invece il gioco a dadi da cui sono originato ha estratto un numero fortunato.
Posso, dicevo, ritenermi un privilegiato. Molte delle persone che conosco lo sono altrettanto quanto me… altre più, altre meno. In ogni caso non posso dire mi manchi nulla per essere felice.
O, perlomeno, se definiamo una misura tale per cui tutto ciò che si possiede, sia in termini effettivi sia quanto a potenzialità, venga messo in una specie di calderone e poi pesato, posso decisamente dire di avere con me un bel bagaglio che dovrebbe farmi sentire, per tanti versi, una persona ricca.
Questo, però, non sembra impedire il verificarsi di situazioni in cui mi sembra di non avere niente.
Di vagare senza una meta, e di avere davanti a me un futuro davvero incerto.
Un po’ come dire… “chi ha il pane non ha i denti…”. Sembrerebbe uno spreco.
C’è chi davvero lotta quotidianamente con la vita, che si accanisce e rende difficile il solo arrivare a sera.
Il punto della questione, però, è come si affrontano i momenti di sconforto, non tanto la disquisizione circa la correttezza relativa al provarli.
E’ innegabile il fatto che possa capitare a chiunque di vivere momenti di questo genere, a prescindere da quanto si possa aver ricevuto dalla vita, e da quanto si possa essere in grado di dare a sé stessi e agli altri.
E’ altresì non discutibile che ognuno di noi possegga la capacità di considerare i propri guai al centro dell’intero universo, malgrado si abbia ad ogni istante l’evidenza che esistono, attorno a noi, situazioni di gran lunga più complesse e meno gestibili.
Questo è il fulcro di tutto. A volte il mondo crolla… anche se in realtà non c’è davvero nulla che effettivamente stia crollando per davvero.
Accade ogni tanto che qualcosa su cui abbiamo investito parte delle nostre energie o su cui, magari, abbiamo riposto le nostre aspettative, non prenda la direzione che avevamo sperato. Può invece accadere che, per una serie di circostanze, si percepisca un certo livello di insoddisfazione, paura, insicurezza.
Verso il futuro, verso il presente… verso le proprie capacità o nei confronti di quello che si sta costruendo.
Momenti in cui sembrano crollare alcuni dei pilastri che si credevano così stabili da costituire una solida base di partenza per avviarci verso il raggiungimento della felicità, o della soddisfazione. O, semplicemente, verso la realizzazione di alcuni dei sogni che continuamente facciamo e coltiviamo.
Beh, è qualcosa di veramente naturale, e connaturato con la nostra capacità di riflessione ed analisi.
Sono davvero molti gli aspetti delle nostre vite che possono provocare una perdita di fiducia e di serenità così generalizzata da farci entrare in un tunnel da cui si esce, in genere, con molta difficoltà. Potrebbero essere singoli eventi o singole porzioni della nosstra esistenza, così come, invece, è possibile che si cada nel baratro dello sconforto a causa di innumerevoli piccoli avvenimenti che, nel loro complesso, fanno apparire la nostra vita più grigia e meno godibile, e che ci portano a considerarci delle vittime.
La sfera sentimentale è, in genere, uno di quegli aspetti che riesce ad avere un peso smisurato sulla percezione che abbiamo della qualità della nostra vita. Tendiamo facilmente a virare verso la depressione qualora avvertiamo come un peso la mancanza di una persona al nostro fianco, o quando i sentimenti che proviamo verso qualcuno che vorremmo ci accompagnasse nel difficile mestiere di vivere non sono ricambiatie noi non riusciamo a farci una ragione di questa disparità.
In realtà il problema diventa meno gestibile nel momento in cui tale mancanza insinua il dubbio circa la nostra inadeguatezza nei confronti della vita (o perlomeno di quella parte che riguarda la relazione di coppia). In tal caso si istaura un circuito maligno che porta, in genere, ad un forte calo di autostima, e di conseguenza ad un conseguente senso di sconforto.
Le prospettive lavorative, o più in particolare la possibilità di guardare ad un futuro all’insegna dell’indipendenza economica è uno degli aspetti che incidono in maniera decisiva su quello che è lo stato d’animo con cui si affrontano le giornate.
Costruire una professionalità e trovare la propria strada è un altro dei temi scottanti di questo millennio… e probabilmente lo è sempre stato, magari in modo molto diverso da come possiamo percepirlo oggi. Negli ultimi decenni si è creata una sensazione di precarietà diffusa che non aiuta affatto a vivere in modo sereno la propria vita. Complici molteplici fenomeni, siamo giunti ad una situazione in cui, pur avendo prospettive mediamente delineate, avvertiamo sempre un senso diffuso di instabilità.
Qui entra in gioco il discorso di partenza. Quello circa la fortuna. Ritengo di avere avuto davvero molto in dotazione, e, senza troppa falsa modestia, credo di aver giocato abbastanza bene alcune delle carte che mi sono trovato per le mani. Altre le ho probabilmente sprecate, o lo farò in futuro, altre ancora troverò il modo di renderle fruttuose.
Eppure, senza apparentemente nessuna ragione, mi ritengo una persona molto facile alla depressione. Ho attraversato molti periodi in cui l’unico pensiero era quanto sarebbe durato quello stato di sconforto e tristezza. Molte volte mi sono chiesto il perché di quelle sensazioni, ed altre volte, invece, avevo ben chiaro il motivo, ma non la possibile soluzione.
Probabilmente la sfera che più mi ha causato carenze relative alla soddisfazione è stata quella delle relazioni sociali (non per niente questo blog è zeppo di riflessioni appartenenti a questo mondo). Da sempre ho avuto difficoltà di relazione, sia sul fronte amicizia sia su quello di coppia. Momenti particolarmente difficili mi hanno portato sull’orlo di un esaurimento, mentre per la maggior parte del tempo ho comunque vissuto un senso di inadeguatezza latente che mi ha impedito di diventare una componente davvero attiva all’interno dei gruppi con cui sono stato in contatto.
Sempre abbastanza al margine, come qualcuno che non ha realmente voglia o bisogno di vivere gli altri… in realtà tremendamente consapevole delle limitazioni che mi stavo imponendo e che, di pari passo, il mondo finiva necessariamente per impormi.
Lo sconforto. Questa forte sensazione di stanchezza e, contemporaneamente, di preoccupazione che, mescolate, generano una mistura esplosiva.
Darne una definizione è assai complesso, ma purtroppo non è nemmeno così necessario, visto che tutti abbiamo idea di cosa si provi.
Ci sono momenti in cui semplicemente non ha più importanza quanto puoi ritenerti fortunato e quante frecce hai al tuo arco… semplicemente il futuro è nero, il presente un pozzo profondo e tutto quello che riesci a dire e fare è attendere.
Essendo di natura estremamente introspettiva ed analitica, tendo fortemente a cercare di capire cosa provo ed in che modo posso continuare a credere nel futuro. In una prossima riflessione vorrei scrivere qualcosa su un argomento che inizia a starmi particolarmente a cuore, e che fa il paio con le affermazioni di cui sopra relative alla fortuna che ritengo di aver avuto. Ciò che è importante in questo articolo, invece, è soltanto focalizzare l’attenzione su come sia indipendente dalla realtà, a volte, la sensazione di smarrimento che abbiamo.
In genere il senso di sconforto e la visione negativa dei nostri successi a venire non derivano soltanto da una mera osservazione di quanto effettivamente potremo ricevere o dare alla vita nell’immediato o in un futuro più remoto. Riferendomi a quella cerchia di persone che hanno la fortuna di aver costruito, tramite studio, applicazione o semplici capacità innate, qualcosa su cui basarsi, la percezione che tutto questo non porti a nulla non è qualcosa di reale e motivato. Come dicevo all’inizio, ogni aspetto della vita ha assunto una connotazione fortemente precaria. Ogni nostra speranza la percepiamo come qualcosa da verificare, ed è sempre in attesa dietro l’angolo l’evento che potrebbe mandare in fumo i nostri sogni.
In realtà abbiamo una strada fortemente agevolata da quanto possediamo e dal fatto che siamo stati incanalati in un percorso che per buona parte è guidato, e destinato comunque al successo. Intendere questa parola è arduo e pericoloso, ma ciò che intendo dire è che le modalità di crescita sono ormai fortemente uniformate, e le persone che sono state immesse nel circuito delle scuole e dell’università hanno buone probabilità di trovare nel futuro un alleato che mostri nuove aperture e nuovi orizzonti. In molti casi può essere un lungo e periglioso percorso, in altri casi potrebbe non trasformarsi mai in un cammino che abbia come destinazione la vetta. Siamo tutti, però, nelle condizioni di poterci evitare lo sconforto circa la nostra futura sopravvivenza. Siamo, però, tutti orientati a modelli di comparazione che ci fanno sembrare nulla una vita all’insegna della mediocrità. Già dire questo dovrebbe mostrare come, se da un lato si ingenera un processo di valorizzazione dell’eccellenza, dall’altro si crea però una tendenza a sminuire una larga parte di quelle che sono le vite delle passate generazioni. Questa tensione continua verso il timore di non ottenere risultato, potrei dire quest’ansia continua da prestazione, di sicuro non aiuta ad affrontare con serenità le singole sfide quotidiane. A mio avviso genera molti più danni, in realtà, in quanto non siamo assolutamente in grado di gestirla.
Se da una parte la competizione è quello che da sempre aiuta a migliorare se stessi, d’altra parte è anche qualcosa che, se non approcciata in maniera corretta, può portare all’autocommiserazione più becera ed alla continua insoddisfazione, con conseguente incremento del senso di inadeguatezza sociale e di impossibilità di realizzazione dei propri sogni.
Sul fatto che, spesso, la carenza si possa ricercare anche proprio a livello di aspettative sorvolerei… è un problema a mio avviso rilevante ma di natura più personale (dipende dal carattere e dalle ambizioni personali).
L’effetto di tutto questo, però, è un pesante dilagare di persone che si ritengono mediocri soltanto perché pensano di non avere possibilità di eccellere, e quindi, alla fine, si rintanano nella mediocrità diventando a tutti gli effetti esponenti di tale categoria.
L’effetto esattamente contrario, probabilmente originato da cause simili calate in persone molto meno remissive e con più tendenza alla lotta (nel senso esteso del termine) si manifesta in termini di tendenza all’autoesaltazione. Persone che tendenzialmente si ritengono superiori agli altri e che, non potendo darne dimostrazione per cause non sempre dipendenti da loro, si intristiscono e divengono aggressive, o denigratorie.
Tutte manifestazioni di una base di sconforto e senso di precarietà che ormai dilaga incessante.
Paradossalmente, le persone meno avvezze a questi continui cali di autostima e di soddisfazione sono in genere quelle che, per loro origine, hanno avuto meno cartucce da sparare ma, magari, come gli altri, hanno saputo farne buon uso. Essendo orientati al raggiungimento della mediocrità (non vorrei che tale termine fosse inteso in senso dispregiativo, ma solo con il significato di medio), tendono ad avere aspettative più commisurate all’effettiva possibilità che la vita di oggi offre.
La devastazione sociale originata da questo futuro incerto e variabile invade tutte le sfere che costituiscono la vita di ognuno di noi. L’approccio sentimentale del trentenne, ormai, è qualcosa di sconcertante. Me compreso, nessuno sembra più avere prospettive di costruzione, ma tutti, in qualche modo, tendono a vivere alla giornata, evitando di fare progetti e, quando accade, essendone trementamente spaventati.
Tanti single, tanti separati, tanti che non riescono a decidere cosa vogliono fare della propria vita sentimentale.
Tante persone che non cercano un compagno o una compagna di vita, ma fanno accadere le cose e le vivono come una parentesi aperta, che poi verrà chiusa presto. Questo approccio non stupisce, ed è tutto sommato assolutamente comune. Guardandomi attorno, sempre più noto come la situazione standard sia trovarsi a 30 anni senza una certezza su questo fronte, ma piuttosto con una substrato di generale irrigidimento e cinismo che proviene da tante situazioni mal gestite o mal concluse.
Sconforto circa la possibilità di arrivare a trovare qualcuno che abbia il nostro stesso approccio alla vita. E’ naturale che le probabilità di trovare qualcosa di simile siano assolutamete irrisorie. Il punto è che non si è più disposti a fare sacrifici, o a scendere a compromessi. Ci vuole un niente per scaricare una persona… perché accontentarsi? E’ anche giusto, alla fine… il problema è piuttosto nell’approccio alla misurazione del valore dell’altra persona. Il concetto di adeguarsi a quello che si ha è ormai legato a doppia mandata con quello delle aspettative su se stessi. E’ evidente come non ci siano più tempistiche stringenti (o perlomeno non sono le stesse delle passate generazioni) che ci portano a dover trovare qualcuno per “metter su famiglia”. Le necessità sono mutate, è vero, ma conseguentemente è cambiata anche la modalità di interazione. Oramai risulta quasi strano che un trentenne si sposi. Altrettanto strano è qualcuno che a questa stessa età compri casa e vada a vivere da solo.
In ogni caso, probabilmente questo inutile articolo merita di essere concluso, visto che senza ombra di dubbio non sarà rimasto nessuno a leggere e, anche se diversamente fosse, non vedo l’utilità di andare oltre.
Tendo sempre a divagare e ad affrontare mille tematiche insieme, probabilmente a volte commettendo l’errore di mescolare discorsi che dovrebbero essere affrontati separatamente.
Tutto questo per arrivare a dire che non importa quanto ci riteniamo a volte sfortunati ed inadatti o quanto per noi il futuro non sembri così roseo… probabilmente stiamo soltanto passando un periodo in cui qualcosa non gira per il verso giusto. Occorre dare il giusto peso alle cose, poi lo sconforto tende a scomparire. La cosa che resta è la nostra capacità di calare le giuste carte all’occorrenza.

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