Il filtro anti-semplicità

Il filtro anti-semplicità
La domanda che da sempre mi faccio, e non penso di essere il solo, è relativa a come poter finalmente considerarmi soddisfatto di ciò che possiedo.
Sembra una questione stupida, ed effettivamente la risposta potrebbe sembrare, a prima vista, contenuta nella stessa domanda.
E sarebbe anche così, alla fine, se non ci fosse il fattore A.N. a disturbare.
Cosa sarà mai? Semplice: Attività Neurale. Come dire, pensiero.
Gli anni passati mi hanno portato a valutare tutto quello che ruota attorno alla capacità di riflessione, di pensiero, di elaborazione come a qualcosa che può essere, o meno, congenita in ciascuno di noi. Se non lo è, qualcosa di essa può essere acquisito… e quindi si può migliorare il proprio livello di capacità di riflessione.
Può essere, in ogni caso, stimolata e portata a livelli sempre più alti… ma difficilmente può essere eliminata.
In pratica, molto semplicemente, è più facile imparare a pensare che smettere di farlo.
E non sempre, purtroppo, l’attività delle nostre simpatiche amiche cellule cerebrali porta un vantaggio all’involucro che la contiene e la alimenta.
Avere aspettative, di qualunque tipo esse siano, richiede impegno, e provoca, sovente, effetti negativi che tendono a peggiorare la qualità di vita.
Sarà probabilmente molto cinica questa affermazione… di sicuro un po’ provocatoria… sarà probabilmente qualcosa che è difficile da condividere e da appoggiare.
Ma, a dispetto di tutto ciò, malgrado si cerchi sempre di migliorare la propra capacità di analisi e di accrescere la propria velocità cerebrale, il risultato di questi tentativi non sempre è conciliabile con la intrinseca necessità di vivere una vita serena e di imparare a godere di quello che abbiamo attorno a noi.
Giudicare, analizzare, dissezionare ogni cosa che ci passa davanti potrà sembrare un’operazione che arricchisce le nostre emozioni. Ed è così in taluni casi. A volte, e probabilmente questo accade molto più frequentemente di quanto si possa immaginare, tutta questa sovrastruttura che generiamo non fa che appiattire le nostre sensazioni.
Le rende, come dire, filtrate.
Parlo di me… ma forse non solo.
La meraviglia non fa più parte della mia vita. Lo stupore si è perso tra una riflessione ed un’altra. E’ lì, lo so… ma dorme.
La fantasia trova sempre più intoppi sulla strada verso la sua manifestazione.
La creatività è in affanno, e si trascina stancamente, circondata e fiaccata dal generale appiattimento delle mie emozioni e delle mie idee originali.
Come in un film girato in bianco e nero, il tentativo di valorizzare le sfumature contrastando l’immagine ed usando inquadrature ben studiate per raggiungere l’effetto desiderato, sento che mi sta provocando una parziale perdita di percezione dei colori che mi stanno attorno.
Sarà forse banale, ma a volte la semplicità di qualcosa sfugge completamente se la si elabora e si cerca di darle un senso compiuto. Pretendere di più, mirare al raggiungimento di qualche misterioso obbiettivo, cercare spasmodicamente qualcosa che non si ha, presto o tardi genera un conto pesante da pagare. Ci si perde per strada qualcosa di importante. Come lo stupore.
Il sorriso di qualcuno che si emoziona per un raggio di sole, o per una carezza della persona che ha a fianco.
La voglia di fare qualcosa soltanto perché in quel momento si percepisce di averne bisogno.
La serenità di essere in due.
La capacità di apprezzare l’essere in due.
La voglia di stare seduti, o sdraiati, e sorridere alle stelle. Senza motivo. Senza scopo.
La soddisfazione che si prova nel fare qualcosa che non abbia necessariamente un valore intrinseco. Non sempre serve cambiare quel che abbiamo attorno, e non sempre ha senso desiderare di essere altrove.
Il più delle volte, il posto in cui siamo, e le persone che abbiamo attorno, sono assolutamente ciò che ci basta per godere di quel momento. Non farlo è una perdita.
Pensare a cosa si ha voglia di fare genera un filtro che fa passare la voglia di fare. Ogni cosa non sembra all’altezza dello stesso pensiero che si sta avendo.
Come se il fatto stesso di dover decidere cosa fare debba prevedere un soddisfacimento di questa ricerca attraverso qualcosa che sia davvero speciale. Non basta più decidere di stare dove si è già… e magari smettere di pensare a cosa fare.
D’accordo sul fatto che, una volta iniziato a farlo, non si può smettere di riflettere e meditare su tutto quello che ci succede o che facciamo succedere.
D’accordo anche sul fatto che, spesso, ragionare sulle cose permette di acquisire un pensiero originale su tali argomenti (non è scontato, ma a volte capita).
Ciò che, forse, andrebbe acquisito, è la capacità di bypassare questi controlli, quando serve.
Riuscire a stare in pace con quel che si ha, senza cercare altro e senza rifiutare il momento.
Volendo estremizzare, si potrebbe tradurre tutto questo in qualcosa di vicino ad un elogio della semplicità… ma sarebbe davvero troppo riduttivo.
In un certo qual modo, la semplicità è proprio ciò che si perde quando si applicano i filtri del pensiero.
Obbiettivo: riuscire a togliere qualche filtro, specie quando i colori sono belli al naturale, e quando siamo, in fin dei conti, esattamente dove dovremmo essere (anche se non ce ne accorgiamo).

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