Tigre Semantica

Tigre Semantica

Si parla sempre della paura. Ci ho riflettuto a lungo, e la conclusione a cui sono giunto, sembrerà una cosa assolutamente banale, è che in genere si tende a confondere la paura con l’insicurezza, e con una serie di altre sensazioni che hanno spesso, con la paura, ben poca attinenza.
Lo faccio sempre anche io, ma capire la differenza è probabilmente un primo passo verso la corretta definizione delle proprie emozioni.
Siamo tutti vittima di un generale appiattimento delle capacità espressive, ed ormai il linguaggio sembra aver perso una grossa parte della sua ricchezza semantica.
Si parla spesso per aggregati linguistici. Paura tende ad essere individuata lì dove c’è, magari, una semplice sensazione di diffidenza. O, più in generale, quando si comprende che c’è un’incertezza di fondo riguardo al risultato di una certa azione, e si tende ad esitare a prendere posizione e decidere. Si ha paura quando si ignora qualcosa, anche se l’evidenza è che tale stato d’animo è più rivolto ad una tendenza alla conservazione dello status quo piuttosto che ad una reale sensazione di pericolo.
Come per la paura, sono moltissime le emozioni che vengono oramai rese intercambiabili o, peggio, sono inglobate in una meno definita e più generica descrizione.
Si può aver paura se ci si trova davanti ad una tigre che non mangia da due giorni… Ma inizio a reputare sovradimensionato il definire allo stesso modo lo stato d’animo che si ha di fronte ad una decisione che si deve prendere (qualunque essa sia, se chiaramente non ha impatti sulle nostre possibilità di sopravvivenza…).
La tigre ed il suo impatto sulle nostre emozioni sono sovente, semanticamente, rese equivalenti alla scelta di un eventuale cambio di lavoro.
Percepisco sempre più reale la capillare diffusione di una tendenza all’accidia decisionale. Mancanza di senso di responsabilità nei confronti delle proprie scelte? Incapacità di fondo di assumere il controllo delle proprie esistenze?
O, forse, abitudine troppo diffusa ad avere sempre pronto il risultato? Quest’ultima possibilità inizia a sembrarmi sempre più quella che dipinge in maniera più fedele il volto della generazione in cui sono nato e cresciuto. L’idea che ogni scelta venga fatta solo quando se ne conosce l’esito, a mio avviso, si sposa molto bene con l’evidente difficoltà generale nel riflettere sulle proprie vite e nel cercare di dar loro una direzione ben definita. E, quindi, nasce la paura, che altro non è, in questo caso, che incapacità di scelta. Oltre che, probabilmente, inadeguatezza nel gestirne le eventuali conseguenze.
Alla fine, è anche abbastanza scontato che si vada avanti in questa maniera. Tutto sommato, ormai, le nostre vite sono tendenzialmente guidate. A meno che non si possegga, o si costruisca, un forte spirito critico, è decisamente più comodo lasciarsi guidare. In fondo, per condurre un’esistenza che si può ritenere “accettabile”, non serve poi decidere così spesso cosa fare e come.
Ne risulta che abbiamo paura delle scelte. Anche quando, in realtà, dovremmo solo capire meglio cosa ci aspettiamo da noi stessi.
Per questo motivo resto sempre più affascinato da chi riesce a mettersi in discussione, giocare il ruolo che ritiene giusto ed assumersi le conseguenze di quanto decide. Chi riesce a cambiare. A crescere. E a smettere di chiamare paura quello che poi, alla fine, è nient’altro che semplice esistenza.

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