Lo specchio

Lo specchio

Un tempo credevo che il mondo fosse ai miei piedi.
Che ogni cosa mi fosse possibile. Sarebbe bastato volerla, ed ecco che d’incanto essa si sarebbe realizzata.
Un tempo mi guardavo nello specchio e vedevo qualcosa. Oltre l’immagine riflessa scorgevo una persona. Un ragazzo dotato di uno spessore che ritenevo, allora, al disopra della media.
Quanto può essere ingannevole quello specchio, che ci mostra sempre solo ciò che siamo pronti a scorgervi.
Quanto può essere errata la percezione che abbiamo di noi stessi, dal momento che essa deriva da un’osservazione quotidiana di un’evoluzione lenta ma costante.
Fermarsi sulla strada che stiamo percorrendo e provare a dare uno sguardo indietro è un’operazione che non sempre ottiene il risultato sperato. Troppo spesso non riusciamo a sporgere abbastanza il nostro collo fuori da quel finestrino, tanto da poter gettare un’occhiata al percorso fatto finora. Troppo di frequente ci soffermiamo ad osservare un passato il quale, però, cerchiamo di interpretare secondo quello che siamo diventati nel momento in cui poniamo attenzione ad esso.
Una fotografia, a volte, può semplificare il compito.
Guardare uno scatto rubato ad un momento della propria vita risalente a 10 anni prima, ad esempio, potrebbe costringerci a proiettarci immediatamente nella situazione che lo ha generato.
In genere si tende ad avere una diretta percezione ed un ricordo vivo di ciò che è successo negli ultimi anni della propria esistenza. Per un lasso di tempo di alcuni anni, infatti, si tende a fare un’operazione di “Refresh dello storico”. Possediamo, forse, una sorta di cache, che ci permette di mantenere viva una parte della nostra storia, sempre disponibile ad essere recuperata e ricordata. Per questa porzione di noi stessi tendiamo ad applicare regole diverse rispetto a quanto facciamo con il resto dei nostri ricordi. Mi succede di frequente, specie ultimamente, di mettere mano al passato, cercando di associarlo alle varie manifestazioni di me stesso che si sono succedute nel corso degli anni.
La cosa più semplice è quella che viene quasi spontanea: interpretare quegli eventi, quei ricordi, secondo il punto di vista che ora mi appartiene. Ma che, come è naturale che sia, non ha sempre fatto parte di me.
Si ritengono sbagliate determinate azioni, si resta convinti della correttezza di altre, così come si forniscono spiegazioni ad eventi di ogni genere. È semplice e frequente rivivere qualcosa accaduto anni prima, osservandone lo svolgimento come se guardassimo un film degli anni ’70. Si riesce a giudicarne la consistenza, a valutarne cause ed effetti, a percepire l’effetto ridicolo che ha su di noi adesso.
Noi che, pure, eravamo presenti quando quella scena è stata girata, riusciamo facilmente ad attualizzarne il valore. A spiegarne le motivazioni. A dichiarare che, ora, otterremmo un effetto migliore a parità di condizioni al contorno.
In una situazione del genere, stiamo semplicemente analizzando e giudicando il passato.
Un pochino più arduo è lo sforzo che facciamo quando, invece, cerchiamo di ricordare per davvero quel momento di pochi anni prima. Dobbiamo fare un passo indietro, e tentare di rammentare quali fossero le condizioni in cui ci trovavamo mentre il tutto avveniva.
È questo lo scenario che scatena con estrema facilità l’effetto refresh.
Malgrado stiamo ripensando all’evento, collocandolo nella sua cornice storica, è il nostro io attuale che agisce, anche nel passato. Spesso crediamo di riuscire ad immedesimarci in quello che eravamo anni prima, ma in realtà non facciamo che ricordare, analizzare, e giudicare. Indossiamo una leggera maschera per mostrare a noi stessi che stiamo veramente affrontando un ricordo. Riportiamo alla memoria i dettagli che ne costituiscono la struttura. Forse arriviamo persino a scorgere quel sapore di passato che dovremmo, invece, gustare sino in fondo. Ma, di solito, siamo sempre noi quelli che vediamo allo specchio, che agiscono anche nel passato.
Aiutati anche, forse, dall’aspetto fisico, che solitamente si trasforma in maniera lenta, e mantiene per anni le stesse caratteristiche di base, facciamo muovere l’io attuale nella situazione che ricordiamo. Essa stessa viene quindi aggiornata, ad uso e consumo della prossima occasione in cui verrà riportata alla memoria.
Se una situazione, al momento attuale, è in grado di sollecitare la nostra rabbia, ricordando un momento in cui essa si è presentata, saremo in grado di provare immediatamente un senso di rabbia estremamente realistico, malgrado ci stiamo riferendo a qualcosa ormai passato. Se, viceversa, la stessa situazione, ormai, ha smesso di generare in noi quella reazione, sarà molto difficile arrivare ad avvertire rabbia, anche ripensando ad un evento passato in cui ne abbiamo sperimentata in abbondanza.
Ne ricorderemo la presenza, ma sarà il nostro approccio attuale a mediare il ricordo.
In parte, credo che questo avvenga perché si ritiene, inconsciamente, di non essere troppo diversi da allora. La realtà è spesso differente. Le trasformazioni che possono avvenire in una persona in pochi anni possono stravolgere il suo modo di vedere il mondo e di reagire a determinate sollecitazioni. È, però, difficile accettarlo anche a livello più istintivo.
Ho guardato pochi giorni fa una foto risalente al 1995.
Una foto di gruppo, a scuola. Tanti compagni di classe, pochi amici.
Molti sorrisi, poca sincerità.
La foto mi ha proiettato all’istante in un mondo diverso, in cui non esisteva la persona che ora sta guardando quella foto.
Al momento dello scatto, ricordo la sensazione di trovarmi al posto sbagliato, nel momento sbagliato, e con la compagnia sbagliata.
Il senso di esclusione è piombato su di me e mi ha portato alla memoria quel momento assieme a tutte le emozioni che lo avevano accompagnato.
È stato improvviso, potente, incontrollato.
Un vero ricordo, senza mediazione. Sono stato di nuovo quella persona, per un attimo, e ho rivissuto alcuni istanti nella maniera più autentica e vera.
Aver rimosso quella parte di passato dai miei ricordi più a portata di mano, probabilmente, ha reso il suo impatto più efficace.
Se vogliamo vivere per un momento la parte più vera di noi stessi, dobbiamo, spesso, scavare più di quanto siamo soliti fare.
Recuperare quei ricordi sinceri, e ripartire da essi, per guardare il percorso fatto.
Per poterne affrontare di nuovo alcune parti, se necessario, o semplicemente per confermare a noi stessi di averle già percorse.
Superare la parte di ricordo più vicina nel tempo, che rischia di fornirci spunti un po’ falsati, e dirigersi lì dove non è facile arrivare: oltre lo specchio. Oltre l’illusione di essere. Dritti a quello che davvero è, per procedere verso quello che vorremmo che fosse.
Oltre la percezione di noi stessi. Per poter davvero ritrovarci e procedere.

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