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Morì in quel giorno di sole quell’uomo dal volto di ghiaccio

MORI’ IN QUEL GIORNO DI SOLE QUELL’UOMO DAL VOLTO DI GHIACCIO – Agosto 1996

L’uomo si voltò, guardandosi fisso negli occhi, e disse al vuoto intorno a lui, con voce altera e passionale, quasi litigiosa: “Ormai la luce arriva, il tempo finisce, le ombre si distendono e divengono limpide e chiare: tutto si rinnova”.
Quell’uomo non aveva mai sorriso.
Sopra di lui un ramo carico di passeri rumoreggiava assorto.
Si aprì una porta e si trovò sollevato dalla nativa terra, portato verso un luogo sconosciuto.
Il chiarore era abbagliante, e gli occhi lampeggiavano di dolore. Poi passò.
Il sole sbucò all’improvviso, e con un lieve colpo di cannone, annunciò l’avvento di sé stesso, mentre il cielo biancheggiava serafico, nel tempo di oggi e di domani.
Si gettò, naufrago di sensazioni, nel mare d’improvvise apparizioni.
Alberi all’istante crebbero sotto i suoi occhi, mentre la luce sprizzava folgori e sollevava spruzzi di nubi, pari a candida panna in mezzo al cielo.
Qualcuno, qualcosa parlò, ma l’uomo non sentì la sua voce. “Tu lo sai, quel che accadrà ! Perché ormai il tempo finisce, e qui ieri sarà domani, il nero tingerà di rosa l’azzurro”.
C’era una porta, dietro di lui. Un giardino si faceva strada: un passero volò sopra di lui, cantando melodie dolci, soavi, narrando storie passate, o future.
Un lampo splendente sfregò le sue mani, colorando di luce la luce, riempiendo d’energia l’infinito.
L’uomo abbassò lo sguardo, osservando scorrere fiumi tranquilli. Non sorrise, come mai aveva fatto.
Poi un angelo bussò, ed egli aprì, indicandogli la strada del pensiero.
Il giardino era colmo di creature, alate, gigantesche, splendide e candide, che venivano a lui, andavano, parlavano, cantavano.
E disse al vuoto dentro lui: “Ormai la luce arriva, il tempo finisce, le ombre si distendono e divengono limpide e chiare: tutto si rinnova”.
Il tempo non passava, lui non lo avvertiva: tutto era immoto, tranne il resto, che viaggiava a velocità eterna.
Vide un sentiero salire. Non sapeva da quando fosse entrato per quel varco a forma di luce, non sapeva quando, e se, sarebbe uscito, ma gli sembrava di avere ancora molto tempo.
Camminò per quel sentiero, che portava al punto in cui era già stato o doveva ancora passare, quel sentiero che scendeva verso la volta del cielo azzurro. Poi vide nuvole davanti a lui, che viaggiavano e scendevano, avvolgevano tutto in una cappa densa e luminosa.
Le superò, vi salì al disopra, e vide dietro di lui salire le radici, gli uccelli, le piante, la musica che aveva udito nel giardino.
Un cancello e note tremanti ma deliziose percorrevano l’etra limpido e solare. Si sentiva bene, finalmente solo, solo con tutto il mondo.
Lì era fuori di esso, ma dentro, nelle sue viscere. La sua esistenza prese a scorrergli innanzi, udì i sogni bussare alla sua mente, i ricordi prenderlo per mano.
Si aprirono le porte, il cancello lo nascose ai suoi sguardi, l’ago della bilancia salì nel suo cuore.
Ora sapeva che il suo viaggio doveva continuare.
Rammentò quel giorno di sole, quando il freddo stringeva tutto in una ferrea morsa spietata, quando aveva visto quei dischi infuocati innanzi a sé.
Era l’apoteosi della grandezza, l’energia sprizzava scintille nell’aere, si udivano tonfi di gioia intorno a lui: tutto gioiva.
Ora era come allora, ma era diverso.
Il sentiero continuava nel folto di una pineta, la luce si era fatta più intensa, le nubi erano ovatta lontana sotto di lui. Erano sopra di lui. Le vide tutt’intorno al suo sguardo.
L’angelo gli disse di farlo, ma il cancello si chiuse, ed un colpo, come di sparo, risuonò nell’aria.
L’uomo si voltò, senza sorridere, ma osservò lo spazio intorno, piegando il capo verso le spalle.
Il giardino sbocciava, pareva crearsi ogni istante, sempre diverso ma sempre uguale a sé stesso, parevano nascere nuovi pensieri, e tutto parlava con lui, narrava la vita passata, futura.
Davanti c’era un signore. Vestiva di bianco, portava un mantello.
Piangeva lagrime amare, e gli tendeva la mano.
Accanto, vide angeli rosa, neri animali, e udì gridare dei versi, gemere rochi singulti: tutto piangeva.
Eppure intorno sentiva nel cuore la gioia, la felicità. Pensò ad un’altra vita: il signore avanzava verso di lui. Perché piangeva?
l’uomo non sorrise, non mutò l’espressione del suo volto di ghiaccio.
“Mi dispiace che tu debba partirti da qui”, sentì pulsare nell’aria.
Poi sopra di lui si aprì un baratro nero e scese a folle velocità verso la terra.
Vide lampi gridare leggeri, precipitando nel nero calore d’inferno.
Sentì che stava salendo, o scendendo. La vita stava passando, il sogno diventava realtà.
Un angelo scoccò una freccia che lo colpì sul volto. Adesso era fermo. Girò sui talloni.
Vide un signore. Sorrideva, o meglio, ghignava, in un rapido scroscio di rabbia.
L’uomo capì, intuì quale era la verità.
E pianse anche lui. E pianse lagrime amare.
Capì ciò che l’angelo gli aveva detto di fare, capì ciò che gli ultimi istanti di vita volevano da lui. E lo fece, nel nero pungente, mentre udiva già delle dita che passavano attorno al suo corpo. Sorrise.
La maschera fredda del volto si sciolse, e cadde, in una pozza ai suoi piedi.
Il ghiaccio, ora acqua, sotto le scarpe, sentiva pulsare.
In alto vedeva uno spicchio di sole: si stava stringendo. Tese le braccia. Sorrise.
E tutto sbocciò all’improvviso. Vide radice cantare, uccelli saltare, alberi correre, angeli ridere.
Sotto i suoi piedi un po’ d’erba, bagnata, con acqua gelata: il ghiaccio ormai sciolto giaceva, per l’eternità.
Sorrise.
E l’uomo tese le braccia al signore di bianco, che ora rideva. Un tuono si schiarì la voce, un lampo singhiozzò leggero, commosso, un fiocco di nube si mosse, verso di lui.
Morì in quel giorno di sole quell’uomo dal volto di ghiaccio.
**********
Nella piccola stanza, sul letto, un corpo adagiato, privo apparentemente di ogni sprazzo di vita.
I presenti, muti, dolenti, solcati da rapide lagrime, osservavano silenti l’espressione immutabile sul volto dell’uomo.
Videro luce improvvisa, udirono scrosci di verde che, vivo, nasceva.
Nulla capirono, ma solo stupirono: sul viso dell’uomo, ora, un sorriso, il primo che mai avesse solcato i suoi lineamenti. E nel buio squarciato dalla fervida luce udirono una voce, altera, passionale, sorridente, adesso, come non mai: “Ormai la luce è giunta, il tempo finito, le ombre si distendono e divengono limpide e chiare: tutto si rinnova”.
Un solo sorriso salvò quell’uomo, per l’eternità!
Morì in quel giorno di sole quell’uomo dal volto di ghiaccio.
I presenti, muti, distesero le labbra in un comune e radioso sorriso di gioia, illuminati dalla luce del mondo, che emanava dallo squarcio nel nero.
**********
L’uomo si mosse, ed avanzò verso il signore bianco, libero verso l’eterno.
Lo prese per mano lasciandosi alle spalle il giardino… e la pozza di gelida acqua sull’erba, antica maschera di gelido orrore: e la luce sorrise…

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