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552 ore dopo

552 ORE DOPO – Aprile 1997

Morirò tra 23 giorni.
È il 12 gennaio, oggi, e sarà il 4 febbraio allora.
Quel giorno il mio cervello esploderà. E poi vedrò l’eterno. E ne sarò parte.
Il conto alla rovescia è iniziato 11 giorni fa, mentre ancora facevo i calcoli su cosa sarebbe stato di me tra venti, trenta, quaranta anni.
Mi sento bene. E così ancora starò per le restanti 552 ore, fino a quando quella zero scatterà. Non è stato per mia scelta che tutto ciò è successo, non è stato per mio volere che ho intrapreso questa strada. Ho 19 anni e quindici giorni. È mezzanotte esatta. 552 ore.
In questo momento non provo che un sottile piacere. È l’ironia della vita: si gode lievemente nell’attendere qualcosa di speciale, che ci renderà migliori… o peggiori.
Sto cercando ancora di stabilire come passerò il tempo che mi resta: così, almeno, non mi annoierò.
L’importante, infatti, è fare qualcosa, e proiettare nell’eterno un istante felice, pieno, impegnato. In cosa non importa, ma non voglio rischiare di restare senza nulla da fare, nella noia più completa.
Potrei raccontare un lembo della mia storia. Ma non sono convinto che la mia vita sia interessante. Non ho fatto altro che avere paura. Per diciannove anni. Ora, in ventitré giorni, voglio vivere.
Il 1° gennaio mi sono svegliato in una sala operatoria. Non ero all’ospedale. Né in una clinica.
Lo seppi solo in seguito, cosa fosse quel luogo. Mi dissero di attendere, poi mi fecero parlare con qualcuno, ora non ricordo più chi fosse.
Mi disse di un esperimento, comunicandomi la notizia: 34 giorni, poi… BUM!
A volte interessano i nostri desideri cose che, una volta raggiunte, si rivelano invece povere d’ogni attrattiva, tanto che ci si chiede cosa mai avesse stimolato le nostre brame.
Così ora, che la morte mi è vicina, e mi accompagna nel viaggio terreno molto da presso ormai, ora essa non m’incute più alcun timore, né tantomeno ho desiderio di invocarla, così come talvolta accade, a causa di un tale accidente che ci tolga la voglia di vedere ancora il sole.
La morte è lì, ancora lontana da me, ma vicina abbastanza da riuscire a scorgerla dietro un velo di vita. Ma è lì e niente più.
Ho ancora un lembo di strada da percorrere, e quando l’avrò terminato, probabilmente non avrò voglia di camminare ancora.
Se raggiungerò la morte, la prenderò sotto braccio ed andrò con lei, senza rimorsi, senza paura, senza desiderio di continuare a calpestare questo suolo. Vivrò. Domani, e poi ancora il giorno dopo. Ancora per 552 ore.
Nei giorni trascorsi mi sono divertito, molto e con una goliardica voglia di farlo. Il tempo è scorso veloce, più di quanto immaginavo, e 11 giorni sono passati senza che quasi me ne accorgessi, andati in fumo.
Ma, ancora, non ho paura. È il 12 gennaio. È il tempo giusto, ed è ancora parecchio: 23 giorni.
Sono andato a trovare i miei genitori. Non ho detto loro nulla: non resisterebbero. Sono rimasto lì per tre notti, poi gli antichi screzi sono tornati a galla: è proprio vero quello che si dice riguardo all’ospite, che dopo tre giorni, così come il pesce, puzza.
Sono un tipo solitario, e non ho mai amato molto la compagnia. Persino a casa, con i miei genitori, la vita non era facile. Ora è tutto più duro, ma almeno ho la mia privacy, la mia identità.
Mia sorella è ancora lì, con loro, sebbene sia molto cambiata: più silenziosa, più remissiva, più schiava.
Sono distruttivi, quei due, ed io sono quasi felice di non doverli più vedere.
Mangio con regolarità, trascorro le ore a leggere, a scrivere, a studiare, come se mi restassero ancora molti anni: sono abitudini, queste, che non posso fare a meno di mantenere, e di onorare, e di conservare. Ma, fuori di esse, me la godo.
Ho fatto un viaggio. I soldi li avevo, il tempo anche: una settimana, non di più, insieme agli amici. Il tempo, in vacanza, sembra non passare, sembra allungarsi miracolosamente. Sarà forse perché, allora, le notti divengono tempo vivibile, e non destinato al sonno?
Ho visto posti nuovi, incontrato nuova gente. Ho amato e conosciuto le grazie di una fanciulla. Dora, una persona speciale.
In una settimana ho vissuto, perché sapevo che era poco il tempo che mi restava. Penso, in fondo, che sia buono sapere la data della propria morte.
Sono felice.
Non nel senso comune del termine, non come si è soliti affermare senza in realtà crederci più di tanto.
Sono veramente felice, a meno di 552 ore dalla mia fine.
È passata la mezzanotte del 12 gennaio, ma fortunatamente, mentre scrivo, il tempo dura di più.
O forse, semplicemente, scrivendo si vive lo stesso tempo per ben due volte: nella realtà… e nella nostra fantasia.
Insieme ai miei amici, durante quella settimana, ci siamo sfogati. Loro non sanno nulla, ma penso abbiano notato il mio cambiamento.
Non ho più paura. E voglio vivere.
Dora è splendida, ed è un’amante perfetta. Abbiamo passato delle belle notti, distesi l’uno accanto all’altra, anche dopo il viaggio, pieni di quell’amore che lega due giovani alle prime esperienze. Quell’amore del nuovo, dell’inesplorato, dell’affatto eccitante.
Niente di più: sono tornato, e da allora sopravvivo. Pensando al presente, il che è una cosa fantastica.
Mi diverto molto: è un’esperienza nuova, e sicuramente non me ne capiterà un’altra simile. È unica la sensazione che scaturisce dalla consapevolezza di avere le ore contate: è estremamente bella, eccitante, è persino… poetica. Sì, lo è, perché la vita diviene qualcosa di prezioso, di entusiasmante, di assolutamente insostituibile.
È vero, l’uomo è stato creato per pensare di avere vita infinita, e fare progetti a lunga scadenza.
Ma è anche vero che il sapere con certezza di avere poco tempo, rende quello che resta importante come poche altre cose, e trasforma una vita monotona in qualcosa di eccitante.
Me la sto spassando. Mi sono ubriacato, ieri… ho ancora un cerchio alla testa. Ho iniziato a fumare… non droga: quello è contro la mia legge, e mai lo farò.
Le abbuffate di cibo sino a star male, le scopate senza paura di malattie, le corse in macchina col parabrezza rotto ed il vento in faccia, le nottate in bianco a rincorrersi sulla spiaggia, uomini e donne nudi, e poi farsi il bagno, e restare così, liberi: tutto è divenuto più semplice, almeno per me, che queste cose non le avevo mai fatte, e di certo non le avevo inserite nel programma della mia vita!
Questa è la morte, questa l’attesa di qualcosa di certo: via le paure, via le fobie, e viva l’impulso che regola le nostre esistenze! Viva la morte!
Non ho timore, e questa è la verità sul mio conto. Attendo… e me la godo!
**********
552 ore dopo:
BUM!

Morirò tra 23 giorni.

È il 12 gennaio, oggi, e sarà il 4 febbraio allora.

Quel giorno il mio cervello esploderà. E poi vedrò l’eterno. E ne sarò parte.

Il conto alla rovescia è iniziato 11 giorni fa, mentre ancora facevo i calcoli su cosa sarebbe stato di me tra venti, trenta, quaranta anni.

Mi sento bene. E così ancora starò per le restanti 552 ore, fino a quando quella zero scatterà. Non è stato per mia scelta che tutto ciò è successo, non è stato per mio volere che ho intrapreso questa strada. Ho 19 anni e quindici giorni. È mezzanotte esatta. 552 ore.

In questo momento non provo che un sottile piacere. È l’ironia della vita: si gode lievemente nell’attendere qualcosa di speciale, che ci renderà migliori… o peggiori.

Sto cercando ancora di stabilire come passerò il tempo che mi resta: così, almeno, non mi annoierò.

L’importante, infatti, è fare qualcosa, e proiettare nell’eterno un istante felice, pieno, impegnato. In cosa non importa, ma non voglio rischiare di restare senza nulla da fare, nella noia più completa.

Potrei raccontare un lembo della mia storia. Ma non sono convinto che la mia vita sia interessante. Non ho fatto altro che avere paura. Per diciannove anni. Ora, in ventitré giorni, voglio vivere.

Il 1° gennaio mi sono svegliato in una sala operatoria. Non ero all’ospedale. Né in una clinica.

Lo seppi solo in seguito, cosa fosse quel luogo. Mi dissero di attendere, poi mi fecero parlare con qualcuno, ora non ricordo più chi fosse.

Mi disse di un esperimento, comunicandomi la notizia: 34 giorni, poi… BUM!

A volte interessano i nostri desideri cose che, una volta raggiunte, si rivelano invece povere d’ogni attrattiva, tanto che ci si chiede cosa mai avesse stimolato le nostre brame.

Così ora, che la morte mi è vicina, e mi accompagna nel viaggio terreno molto da presso ormai, ora essa non m’incute più alcun timore, né tantomeno ho desiderio di invocarla, così come talvolta accade, a causa di un tale accidente che ci tolga la voglia di vedere ancora il sole.

La morte è lì, ancora lontana da me, ma vicina abbastanza da riuscire a scorgerla dietro un velo di vita. Ma è lì e niente più.

Ho ancora un lembo di strada da percorrere, e quando l’avrò terminato, probabilmente non avrò voglia di camminare ancora.

Se raggiungerò la morte, la prenderò sotto braccio ed andrò con lei, senza rimorsi, senza paura, senza desiderio di continuare a calpestare questo suolo. Vivrò. Domani, e poi ancora il giorno dopo. Ancora per 552 ore.

Nei giorni trascorsi mi sono divertito, molto e con una goliardica voglia di farlo. Il tempo è scorso veloce, più di quanto immaginavo, e 11 giorni sono passati senza che quasi me ne accorgessi, andati in fumo.

Ma, ancora, non ho paura. È il 12 gennaio. È il tempo giusto, ed è ancora parecchio: 23 giorni.

Sono andato a trovare i miei genitori. Non ho detto loro nulla: non resisterebbero. Sono rimasto lì per tre notti, poi gli antichi screzi sono tornati a galla: è proprio vero quello che si dice riguardo all’ospite, che dopo tre giorni, così come il pesce, puzza.

Sono un tipo solitario, e non ho mai amato molto la compagnia. Persino a casa, con i miei genitori, la vita non era facile. Ora è tutto più duro, ma almeno ho la mia privacy, la mia identità.

Mia sorella è ancora lì, con loro, sebbene sia molto cambiata: più silenziosa, più remissiva, più schiava.

Sono distruttivi, quei due, ed io sono quasi felice di non doverli più vedere.

Mangio con regolarità, trascorro le ore a leggere, a scrivere, a studiare, come se mi restassero ancora molti anni: sono abitudini, queste, che non posso fare a meno di mantenere, e di onorare, e di conservare. Ma, fuori di esse, me la godo.

Ho fatto un viaggio. I soldi li avevo, il tempo anche: una settimana, non di più, insieme agli amici. Il tempo, in vacanza, sembra non passare, sembra allungarsi miracolosamente. Sarà forse perché, allora, le notti divengono tempo vivibile, e non destinato al sonno?

Ho visto posti nuovi, incontrato nuova gente. Ho amato e conosciuto le grazie di una fanciulla. Dora, una persona speciale.

In una settimana ho vissuto, perché sapevo che era poco il tempo che mi restava.

Penso, in fondo, che sia buono sapere la data della propria morte.

Sono felice.

Non nel senso comune del termine, non come si è soliti affermare senza in realtà crederci più di tanto.

Sono veramente felice, a meno di 552 ore dalla mia fine.

È passata la mezzanotte del 12 gennaio, ma fortunatamente, mentre scrivo, il tempo dura di più.

O forse, semplicemente, scrivendo si vive lo stesso tempo per ben due volte: nella realtà… e nella nostra fantasia.

Insieme ai miei amici, durante quella settimana, ci siamo sfogati. Loro non sanno nulla, ma penso abbiano notato il mio cambiamento.

Non ho più paura. E voglio vivere.

Dora è splendida, ed è un’amante perfetta. Abbiamo passato delle belle notti, distesi l’uno accanto all’altra, anche dopo il viaggio, pieni di quell’amore che lega due giovani alle prime esperienze. Quell’amore del nuovo, dell’inesplorato, dell’affatto eccitante.

Niente di più: sono tornato, e da allora sopravvivo. Pensando al presente, il che è una cosa fantastica.

Mi diverto molto: è un’esperienza nuova, e sicuramente non me ne capiterà un’altra simile. È unica la sensazione che scaturisce dalla consapevolezza di avere le ore contate: è estremamente bella, eccitante, è persino… poetica. Sì, lo è, perché la vita diviene qualcosa di prezioso, di entusiasmante, di assolutamente insostituibile.

È vero, l’uomo è stato creato per pensare di avere vita infinita, e fare progetti a lunga scadenza.

Ma è anche vero che il sapere con certezza di avere poco tempo, rende quello che resta importante come poche altre cose, e trasforma una vita monotona in qualcosa di eccitante.

Me la sto spassando. Mi sono ubriacato, ieri… ho ancora un cerchio alla testa. Ho iniziato a fumare… non droga: quello è contro la mia legge, e mai lo farò.

Le abbuffate di cibo sino a star male, le scopate senza paura di malattie, le corse in macchina col parabrezza rotto ed il vento in faccia, le nottate in bianco a rincorrersi sulla spiaggia, uomini e donne nudi, e poi farsi il bagno, e restare così, liberi: tutto è divenuto più semplice, almeno per me, che queste cose non le avevo mai fatte, e di certo non le avevo inserite nel programma della mia vita!

Questa è la morte, questa l’attesa di qualcosa di certo: via le paure, via le fobie, e viva l’impulso che regola le nostre esistenze! Viva la morte!

Non ho timore, e questa è la verità sul mio conto. Attendo… e me la godo!

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