Ciao.

Ciao.

Ciao Praga.

Ciao a quell’angolo di paradiso, lì sul castello e tra le vigne, da dove puoi guardare per ore la città, e scoprire sempre nuovi punti di vista. Con un bicchiere di vino caldo, in inverno, o un fantastico trdlo in estate.

Ciao alla collina di Petrin, col suo roseto così variopinto che acceca, e i suoi colori d’autunno, le sue passeggiate nel verde che trasportano in un mondo fatto di pace; ciao alla sua torre sferzata dal vento, i cui scalini tolgono il fiato ma fortificano, e ti aprono ad una vista mozzafiato.

Ciao allo scorcio di Malastrana da dove, in riva al fiume, puoi guardare papere e gabbiani darsi il cambio sul pelo dell’acqua, osservare la mongolfiera turistica che sale e scende con due persone appese, ascoltare il rumore dell’acqua sul ciottolato ed ammirare i battelli che attraversano lo spazio visivo. E da dove ti sembra di poter allungare una mano e toccare Ponte Carlo e le sue statue.

Ciao alle isolette sul fiume. Bucolica passeggiata a contatto con natura ed arte; ciao ai cani che si divertono ad entrare e uscire dal fiume, ai pedalò a noleggio ed alla musica che, nelle mie orecchie, accompagnava quei momenti in cui, mi sembrava, il mondo era lì, io ero lì, e non c’era altro posto in cui sarei voluto essere.

Ciao ai tramonti sulla riva della Moldava, da dove il castello può mostrare tutta la sua imponenza ed i suoi mille colori, illuminato dalle luci variopinte e dal rosso di un Sole morente.

Ciao ai folkloristici tram, che solcano le strade della città evitando il traffico ed i pedoni indaffarati, e che ti rendono impossibile lo stare in piedi, grazie ad accelerazioni degne di una Ferrari e frenate che solo Valentino Rossi potrebbe apprezzare.

Ciao al Kozicka, il magnifico ristorante ceco, la mia seconda casa, e ciao al suo Mammuth: ricorderò quella carne e le sue salse.

Ciao all’Hot Dog Old Prague, con quella salsiccia piccante abbrustolita alla perfezione e le cipolle unte di olio… lo mangi a pranzo, o alla sera, o se vuoi alle 4 del mattino uscendo dal Lucerna, e lo digerisci sempre 2 giorni dopo.

Ciao al Lucerna, con le sue luci e la sua musica anni ’80, un posto dove puoi salire sul palco, gettare di sotto bicchieri di birra o cocktail e guardare mille teste che ballano. Dove, se non stai attento, puoi scatenare una rissa. Dove, se vuoi, puoi indossare i cappellini rubati all’Harley Davidson, ed aspettare che le luci si accendano e la musica si spenga.

Ciao a quei poveri maiali che hanno donato alla scienza le loro ginocchia, perché fossero arrostite ed infilate su uno spiedo. Ciao allo stinco di Malastrana, 1 kg di meraviglia che non si dimentica facilmente.

Ciao alle feste negli appartamenti, dove puoi dimenticarti una parte intera della serata, o semplicemente cucinare due spaghi in compagnia. E ballare al suono di canzoni prese da Youtube, bevendo quel che c’è, spesso senza sapere cosa sia.

Ciao alle infinite passeggiate con la mia Reflex, alla ricerca di nuovi angoli di paradiso.

Ciao alle nevicate che ti sommergono, ti avvolgono, trasformano la città in un morbido trionfo di panna montata.

Ciao ai -22° gradi di quel gelido Gennaio, quando il respiro quasi si congelava ma ti sentivi vivo. E a mani nude sorreggevi la tua Canon, in giro per la città ghiacciata, e scattavi senza posa per fermare qui momenti, che non sarebbero mai più tornati.

Ciao alla Piazzetta HDR, quello scorcio da Ponte Carlo che si trasforma ogni volta in qualcosa di nuovo, per me, ma che da sempre è stato tappa fissa del mio peregrinare.

Ciao al market cinese sotto casa, ora diventato Banca. Spero che gli investimenti che proporrà non siano come gli yogurt scaduti che più volte mi sono trovato a comprare. Grazie comunque per aver salvato molte serate, altrimenti destinate a tristi cene in solitaria in qualche ristorante.

Ciao al Café Restaurant Marnice, un piccolo gioiello sotto Ponte Carlo dove puoi, se ti va, perdere un po’ di tempo, in una cornice che non è facile descrivere a parole.

Ciao alla mia casa, quell’amato ed odiato buco di 30 metri quadri sotto il tetto, stile mansarda. Ciao alla sua stanza da letto triangolare, ai suoi fornelli troppo piccoli per metterci due pentole; al suo frigorifero che non mantiene il gelo; al suo divano, che ha ospitato le mie membra per migliaia di ore; alla TV satellitare da 14 pollici, che mi faceva sentire un po’ meno fuori casa. Ciao ai suoi 30 gradi d’estate, impossibili da abbassare, e ai suoi gelidi inverni, mitigati da termosifoni sovradimensionati; alle sue 3 finestre senza tende, che illuminavano a giorno la casa sin dalle 6 del mattino, e al lucernario senza protezione proprio sopra il letto: la mia nuova capacità di dormire in piena luce non può che renderti omaggio. Ciao al mio piccolo regno, unico rifugio dopo giornate di insana follia.

Ciao alle notti brave, quando l’alcool non lo conti più, e la sola cosa che può salvarti è il Mammuth del Kozicka che hai mangiato prima. Oppure l’Old Prague Hot Dog, che mangerai in preda ad una fame chimica.

Ciao alle mattine in ufficio stravolti dopo la notte brava, quando fatichi a concentrare lo sguardo sul computer, ma in ogni caso non perdi la professionalità. Quando tutti i problemi del mondo che ti chiedono di risolvere si sovrappongono nella tua mente al più grande dilemma che l’umanità conosca: devo tenermi tutto dentro o è meglio che lasci andare via qualcosa? E per quale via?

Ciao a quell’incomprensibile lingua che ti fa sentire davvero molto, molto, molto lontano da casa.

Ciao a questa città che, però, è stata a lungo la mia vera casa, L’Italia restando un semplice luogo di villeggiatura per i weekend.

Ciao all’Acquario del Sesto piano negli uffici Vodafone, dove mille riunioni hanno scandito i giorni, al tormentato open space del Quinto, ed alle sue ragazze del Customer Care. Ciao alle sale svago del Settimo piano, ai fantastici ascensori con un software cervellotico degno di Mission Impossible, ed ai cavi di rete sempre introvabili, qualunque fosse il piano o la stanza.

Ciao ai vari Honza, Jarda, Miro, Marek, Lenka, Lucka, Katka, Martin, Ondra, Jirka, Dano, e ciao a quelli che ora non mi vengono in mente.

Ciao al Bombay Bar, al suo Long Island, quella pozione che richiama il Mister Hide che è in te; ai suoi specchi ed alle danze frenetiche; agli incontri, alla sua Regina, agli scontri ed ai ritorni di mattina.

Ciao alla Metro verde, a Jiriho z Podebrad e al suo tram 11;

Ciao alla sveglia alle 4 del mattino a Roma, al tragitto in auto fino al parcheggio dell’aeroporto, alla navetta per arrivate al terminal, all’aereo fino a Praga, all’autobus per raggiungere il capolinea della Metro verde, al tragitto in Metro fino a Zelivskeho ed all’ultimo tratto in Tram per arrivare in Ufficio. Tempo totale: 5 ore. Mezzi utilizzati: 6.

Ciao al ritorno in aeroporto il venerdì, alla saletta VIP con le sue noccioline ed il vino chimico, all’arrivo a Roma alle 22, alla traversata in macchina fino a casa, dove entravo alle 23 passate e, a volte, mi sfogavo su una Gricia, o su una Carbonara, a seconda della voglia che avevo.

Ciao alla Casa Argentina, dove il filetto è un’arte e le iguane ti osservano mentre mangi all’interno di una sorta di ricostruita foresta pluviale.

Ciao all’Harley Davidson Bar, dove i cubetti di ghiaccio, a volte, finiscono nelle scollature delle procaci ragazze al bancone, e dove, se hai bevuto abbastanza, ti appendi al soffitto sopra un tavolo e tiri su le squinzie che vogliono un minuto di fama. Ciao ai suoi cappellini, che poi ti fanno sentire un re al Lucerna, alle sue magliette, occhiali, ghirlande. Ciao al Bombay Gin, che ha addormentato molte volte qualche migliaio di neuroni e ha reso la serata indimenticabile.

Ciao alle mille occasioni che ho perduto, perché “io sono fatto così”. E ciao a tutte le occasioni che sono stato felice di perdere, perché… beh, perché “io sono fatto così”.

Ciao alla birra, che costa meno dell’acqua e ti accarezza il palato con il suo sapore pieno.

Ciao ai mercatini di Natale, a quelli di Pasqua, e a quelli di non si sa quale altra festa locale. Puoi perderti tra la folla, e affogare tra suoni e colori di una città in festa.

Ciao ai Mondiali in Staromestske Namesti.

Ciao all’orologio astronomico, e a tutte le centinaia di persone che, ad ogni ora, si affollano per guardare il carillon… due santi dietro una finestrella che si muovono e si scorgono appena. Ma piace, e c’è addirittura chi attende a lungo, in piedi, lo scoccare dell’ora per poi scoprire che è troppo tardi, e che lo spettacolo non ci sarà. La legge non ammette ignoranza.

Ciao a tutti gli scorci che hanno allietato i miei occhi, e che sarebbe impossibile descrivere a parole.

Ciao ad un mondo con regole diverse, da capire ed accettare.

Ciao a due anni di vita. Vissuta. Che, in ogni caso, porterò con me per sempre.

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