Confessioni

Confessioni

A volte mi domando perché, nella mia vita, ci siano delle emozioni, comunemente osservate negli altri, che non non trovano il corrispettivo nella mia realtà.

Ieri mi è stato chiesto se sentissi la mancanza di una persona a me cara.

Ho dovuto fare uno sforzo per definire a me stesso il significato di “senso di mancanza”.

Ho chiuso gli occhi, ed ho immaginato me stesso alle prese con questa emozione. Mi sono prima raffigurato da solo, nella mia casa, a pensare a qualcun altro, ed a sentirmi limitato dalla sua assenza.

Ma poi ho percepito il senso di tranquillità che la mia casa mi comunica, e la scena si è dimostrata lontana dalla possibile realtà che stavo cercando di raffigurare.

Ho cercato di focalizzare meglio il concetto: sentire la mancanza di qualcuno andrebbe, forse, visto come desiderio di averlo accanto? No, questo non significa sentirne la mancanza, ma solo aver voglia di condividere quel momento.

Forse, allora, sarebbe da ricercare il significato in un contesto più ristretto? Ci manca, forse, qualcuno quando non abbiamo quella tale caratteristica che tanto ci piace di quella persona?

Certo, è possibile provare la mancanza di uno sguardo, di un certo tipo di contatto, di un gesto particolare o di semplici parole, che solo quell’individuo può regalarci.

Ma non è questo il vero significato di “mancanza”. Quello, perlomeno, a cui la gente si riferisce quando dice di provare tale sensazione.

Ho capito ieri che non basta rendersi conto dell’assenza di qualcuno, o provare desiderio di condivisione con una persona a cui teniamo, per poter dire di sperimentare il senso di mancanza.

Occorre sentirsi incompleti, non realizzati, svuotati, in un certo qual modo, di una parte che si considera importante per la propria sopravvivenza.

Certo, in tal modo questa definizione appare troppo estrema. Ma, pensandoci bene, alla fine occorre sentirsi incompleti per ricercare qualcosa. E, trovandolo, poterne sentire la mancanza quando si è lontani da esso.

Allo stesso modo, l’amore è, in buona sostanza, il sentimento complementare alla mancanza. O, se vogliamo, è il passaggio intermedio tra l’incompletezza e la mancanza. La soluzione della prima e il presupposto della seconda. La possibilità di veder colmate alcune nostre lacune grazie alla presenza nella nostra vita di qualcuno che presenta caratteristiche utili al nostro completamento, infatti, genera un forte magnetismo, e costituisce elemento saldante di un legame. Venendo a mancare questa parte che riteniamo ci completi, ci troviamo a provare quel senso di smarrimento e di rinnovata incompletezza. E sosteniamo che quella persona ci manca.

In fondo, a livello genetico è ormai noto che gli individui vanno alla ricerca della diversità, per garantire alla progenie la maggiore copertura possibile nei confronti di malattie grazie alla combinazione di diversi DNA, con diverse caratteristiche immunitarie.

Ecco, grazie a questa semplificazione, che però contiene il germe di ciò che, alla fine, costituisce il processo alla base della definizione di queste emozioni, sono giunto alla conclusione che sia necessario, per me, iniziare un processo di revisione dei criteri che definiscono il mio livello di coinvolgimento nelle relazioni umane, ed in quelle sentimentali in particolar modo.

Ho sempre atteso di poter provare quel senso di mancanza nei confronti di qualcuno, dando a tale evento un senso molto più rilevante di quello che, invece, avrei dovuto.

Ritenendomi un individuo ormai relativamente autosufficiente, e non avendo, per mia indole e per educazione, una propensione alla ricerca di una vita di coppia stabile e duratura, la quale porti alla formazione di un nuovo nucleo familiare, sono ora in una fase in cui, purtroppo, non avverto lo stimolo alla ricerca di una compagna. O meglio, patisco la mancanza di una necessità di realizzazione grazie alla presenza di qualcuno, proprio in virtù della sensazione di già raggiunta completezza.

Non solo tale necessità non è presente in me, ma mi rendo conto di rifuggire da essa con tutte le mie forze. Questo, perlomeno, accade a livello inconscio.

Portando allo scoperto questa percezione, capisco che non posso far altro che assecondarla, e nel frattempo capirne l’origine e le sue implicazioni.

Ho sempre guardato con invidia a coloro in grado di illuminarsi alla vista della persona che li accompagna nella vita. E ho ristretto, in maniera probabilmente corretta ma sicuramente mal direzionata, l’ambito che definisce le differenze tra la loro e la mia situazione alla possibilità ad essi data di aver bisogno di qualcuno. In particolare, ora capisco che le persone in grado di sentire la mancanza dell’altro sono anche quelle in grado di manifestare in maniera più naturale e spontanea il loro amore.

Sono coloro che percepiscono la loro realizzazione solo se vincolata alla presenza di chi riesca a completarli, a donar loro quel senso di pienezza che, da soli, non avrebbero.

Sono le persone che riescono a percepire la mancanza dell’altro, in quanto essa implica l’assenza di una parte di se stessi. Quella parte che serve loro ad essere realizzati.

Per me risulta assolutamente impossibile trovarmi in tale situazione, proprio in virtù della mia assenza di educazione al bisogno degli altri. In ogni cosa che faccio cerco di riuscire a cavarmela da solo, senza aiuti.

Ogni risultato raggiunto è una vittoria che tendo a considerare frutto del mio lavoro, e non di quello altrui.

Ogni parte di me che ho consolidato in questi decenni è stata sudata e sofferta, e l’equilibrio raggiunto ora è frutto di un lungo percorso analitico ed introspettivo.

Come potrei reputare di sentirmi realizzato solo in presenza di qualcuno che non sia io medesimo?

Questo livello di superbia non può ormai più essere ridotto, avendo permeato ogni fibra della mia persona.

Non sono in grado di offrire quel tipo di sentimenti che, attorno a me, vedo fiorire e sfiorire di continuo, e per i quali la gente vive. E muore.

Non sono in grado di offrire una persona incompleta a qualcuno che possa riempire quelle lacune. Non sono in grado di affidare parte della mia vita, della mia felicità, della mia autostima ad una persona che dovrebbe accoglierla, amplificarla e restituirmela.

Non sono in grado di sentirmi dipendente da qualcuno.

E, quindi, non sono probabilmente in grado di amare. O di avvertire la mancanza di qualcuno. Perlomeno, non posso farlo nella maniera in cui queste emozioni sono dipinte e vissute comunemente.

Questa è una realtà che si sta manifestando in tutta la sua concretezza, e della cui esistenza devo prendere atto. Per poter agire.

Ho bisogno di rivalutare quelli che sono i criteri con cui permetto alle persone di entrare nella mia vita, e soprattutto le motivazioni con cui le invito gentilmente ad uscirne.

Devo imparare a misurare l’intolleranza, a quantificare il piacere, a dosare la presenza. E, durante detta presenza, devo apprendere come abbassare le difese ed abbandonarmi ai benefici influssi dell’emotività, quando fossero presenti.

Sono di natura tendenzialmente incauto, avventato, impulsivo ma, perlomeno negli “affari di cuore”, non presento le caratteristiche di persone che lo siano in maniera completa.

Ho imparato a dosare l’ossessione.

Ho imparato a dire sempre cosa penso.

Ho imparato a sporcarmi le mani senza però fare il passo più lungo della gamba.

Ho imparato a far sentire importante l’altra persona.

Ho imparato a sorridere.

Ciò che non ho imparato, però, è a lasciarmi andare. E, arrivati a questo punto, temo che sia davvero estremamente complesso porre rimedio a questa mancanza.

Se amare vuol dire dipendere da qualcuno; se amare vuol dire abbandonarsi; se amare vuol dire farsi illuminare con un solo sguardo… allora non sarò mai in grado di definirmi “amante”.

Potrò tenermi accanto una persona soltanto quando avrò appreso a non giudicare i sentimenti che provo nei suoi confronti utilizzando il normale metro di misura. Confrontarmi con qualcuno che possieda la capacità di innamorarsi mi lascerà sempre agonizzante e perdente.

D’altro canto, gestire la comunicazione dei propri sentimenti è già qualcosa di enormemente complesso. Introdurre anche l’ulteriore variabile circa il significato dei termini usati per misurare i sentimenti stessi renderebbe il compito più complesso ancora.

Quello che, al momento, vedo con chiarezza come obiettivo da raggiungere, è smettere di considerare fallimentare un rapporto che non ingeneri in me situazioni di mancanza, o che non mi provochi turbamenti in caso di presenza.

Le persone devono fare un percorso, ed ognuno deve seguire la propria natura, senza vincolarsi alle definizioni pre-esistenti, ma immaginandone di nuove, e cercando di viverle con costanza e completezza.

Per quanto mi riguarda, ho molta strada da fare, ma per poter condividere il resto del mio viaggio con una persona che mi stia accanto, occorre che io trovi qualcuna che non abbia bisogno di me, e che non senta la mancanza quando non ci sono.

Qualcuna che sia in grado di recepire i miei messaggi, e leggere i miei sentimenti anche lì dove, a prima vista, sembrerebbero non esserci. Qualcuna che impari a capirmi, e che sia in grado di accettare che, difficilmente, arriverò a sentire il bisogno della sua presenza. E che capisca che, però, sicuramente, non cercherò mai di ferirla e che, se è ancora al mio fianco, è perché la considero importante. Qualcuna che sappia camminare con me ma che abbia, dalla sua, un percorso ben chiaro davanti ai propri occhi. Qualcuna che non pensi di dipendere da me, e che mai, nemmeno nei momenti di maggior debolezza, mi chieda di esprimere i miei sentimenti attraverso parole che non mi possono appartenere. Parole che lei vorrebbe sentire per poter credere. Qualcuna che sappia, invece, trasformare le mie parole in quelle che a lei servono per sorridere e per continuare a credere.

Qualcuna con cui possa sentirmi a casa, anche quando non lo sono… e che non mi costringa a cercare sempre qualcosa di pratico da fare per potermi sentire tranquillo e per percepire la sua serenità e soddisfazione.

Qualcuna che si senta, come me, una persona completa anche quando è sola.

E che, quindi, possa capire che, forse, in tal modo, anche io un domani potrei definirmi “amante”.

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